Trattativa Stato-mafia: Napolitano deporrà? Intanto censuriamo Cancemi!

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di Lorenzo Baldo

Palermo. Sotto gli occhi di una piccola delegazione di magistrati venuti a seguire il processo sulla trattativa Stato-mafia dall’Estonia e dalla Spagna (all’interno di uno scambio interculturale) si è consumata un’ennesima udienza del cosiddetto procedimento “Bagarella + 9”. In una sorta di botta e risposta si sono susseguiti gli interventi degli avvocati degli imputati e dei pm Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo. Gli avvocati si sono opposti ad alcune richieste della Procura e allo stesso modo i magistrati si sono opposti ad alcune istanze delle difese. Tra queste merita particolare attenzione la richiesta del difensore di Mori e Subranni. L’avvocato Milio si è opposto all’acquisizione dell’audio (contenuto in un Cd) relativo all’intervista del nostro direttore, Giorgio Bongiovanni, al primo pentito della “Cupola” di Cosa Nostra Salvatore Cancemi (deceduto il 14 gennaio del 2011). Quell’intervista era confluita in un libro dal titolo eloquente: “Riina mi fece i nomi di…” (Massari ed.), nel quale lo stesso ex boss di Porta Nuova affrontava i temi più delicati della sua collaborazione: dal ruolo di Dell’Utri e Berlusconi nelle stragi, fino alla mancata cattura di Bernardo Provenzano. Una cattura che sarebbe stata possibile lo stesso giorno nel quale Salvatore Cancemi si era consegnato ai carabinieri della caserma Carini di Palermo. Latitante per anni, all’alba del 22 luglio del 1993 aveva deciso di costituirsi ai carabinieri ponendo così fine ad una carriera mafiosa durata vent’anni.

Quella mattina lo stesso Cancemi avrebbe dovuto incontrarsi con Carlo Greco, il capo del mandamento di Santa Maria di Gesù assieme a Pietro Aglieri, per poi raggiungere Bernardo Provenzano in una località segreta. Di fatto una volta in caserma aveva consegnato ai carabinieri un pizzino ricevuto da Greco, con il quale gli si comunicava un appuntamento per la mattina di quello stesso giorno con Provenzano. “Dopo aver chiesto di avvisare il Capitano ‘Ultimo’ – aveva raccontato Cancemi a Bongiovanni – dissi ai carabinieri che io avevo, per quella mattina alle sette, un appuntamento con Provenzano; quindi se volevano potevano prenderlo. All’inizio non mi hanno creduto, perché altri pentiti avevano dichiarato che non si sapeva se era ancora vivo”. (…) “Poi mi hanno fatto un buco nei pantaloni, ancora li conservo, per mettermi una microspia nella tasca in modo che io salissi in macchina con Carlo Greco. E li facessi arrivare a Provenzano. Ma tutto si è risolto in una bolla di sapone. E intanto l’orario dell’appuntamento è passato”. “Perché secondo lei non hanno voluto prendere Provenzano?”, aveva chiesto Bongiovanni al pentito. “Questo io non lo so – aveva replicato l’ex boss –. So che questa è la realtà, è oro colato!”. Parole come pietre che a detta dell’avv. Milio non dovevano essere acquisite agli atti di questo processo in quanto contenevano “valutazioni dell’autore”. E’ evidente che le parole di Totò Cancemi, nonostante la sua prematura scomparsa, preoccupano ancora gli avvocati di alcuni imputati. Allo stesso modo il legale di Mori ha invece chiesto di acquisire un articolo di Antimafia Duemila sul verbale di interrogatorio di Liliana Ferraro relativo al suo incontro con Giuseppe De Donno, richiesta alla quale si è opposta la Procura.
In aula, seduto nelle prime file, anche l’avvocato Luca Cianferoni, storico difensore del capo dei capi. “Totò Riina è stato oggetto e non soggetto di trattativa – ha sottolineato Cianferoni –. Per arrestarlo qualcuno si è messo a fare qualcosa con qualcun altro”.  “Il mio cliente – ha specificato – è totalmente isolato dal ‘93. Ci dicano come e con chi ha trattato, o gli si lasci espiare la pena”. In replica alle richieste di  acquisizione prove della Procura Cianferoni si è opposto all’ammissione della relazione di servizio degli agenti del Gom (relativa alle frasi di Riina rivolte ai due agenti mentre lo scortavano dalla cella alla sala delle videoconferenze per un’udienza al processo sulla trattativa) che per i pm costituirebbero a tutti gli effetti un’ammissione dell’esistenza della trattativa tra Stato e mafia. “Io non cercavo nessuno – avrebbe commentato Riina ai due agenti del Gom lo scorso 21 maggio –, erano loro che cercavano me”. E poi ancora: “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. Per l’avv. Cianferoni si è trattato di una sorta di speculazione mediatica. A tal proposito ha chiesto quindi di acquisire le dichiarazioni dello stesso Riina su Provenzano (che secondo quanto riferito dal capo dei capi ai magistrati non avrebbe affatto favorito la sua cattura) rese tempo addietro a Caltanissetta.
Tra le svariate istanze di audizioni testimoniali quella che indubbiamente richiama maggiore attenzione riguarda il Presidente della Repubblica. “La testimonianza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano al processo per la trattativa tra Stato e mafia – aveva detto Nino Di Matteo la scorsa udienza  – è certamente pertinente e rilevante in questa sede dibattimentale”. Il pm si era riferito in particolare ad una telefonata intercettata tra l’ex consigliere giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio, morto un anno fa, e l’ex ministro Nicola Mancino, tra gli imputati del processo, accusato di falsa testimonianza. Si tratta di quella del 5 aprile 2012, avvenuta tra l’altro, all’indomani della lettera inviata dal Colle al Procuratore generale della Cassazione, dopo che Mancino aveva trasmesso per iscritto alcune rimostranze. D’Ambrosio aveva detto a Mancino: “Il Presidente condivide la sua preoccupazione cioè, diventa una cosa… inopportuna…”. E Mancino aveva replicato: “Questi si dovrebbero muovere al più presto”. Ma ci sono anche altre telefonate intercettate. In un’altra, del 25 gennaio, D’Ambrosio aveva parlato con Mancino della sua nomina al Viminale nel luglio ’92 al posto di Vincenzo Scotti. “È importante ascoltare Napolitano – aveva sottolineato Di Matteo – perché è l’unica possibilità per approfondire i timori espressi da D’Ambrosio nella lettera che il consulente giuridico inviò allo stesso Capo dello Stato il 18 giugno 2012. Nella missiva D’Ambrosio esprimeva il timore di essere stato usato ‘come l’ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo di indicibili accordi’ facendo riferimento a fatti accaduti tra l’89 e il ‘93”. E proprio in merito a queste telefonate è bastato uscire fuori dall’aula bunker dell’Ucciardone per trovare alcuni rappresentanti dell’associazione “Articolo 54” che tenevano bene in vista un quaderno dal titolo inequivocabile: “Colle Center – ciò che non viene detto dall’informazione sulle intercettazioni di Mancino”. Insieme a loro si sono visti alcuni esponenti del movimento delle Agende Rosse venuti da tutta Italia per sostenere il pool dei magistrati di questo processo. “Subito il bomb jammer per Di Matteo”, “A chi serve delegittimare Saverio Masi?” e “Protezione per Ciancimino” recitavano i cartelli esposti. Dall’aula è uscita anche una ragazza di 25 anni di Lotzorai (Og) venuta a Palermo per terminare la sua tesi sul pool antimafia degli anni ’80 e per portare la sua solidarietà a questo nuovo pool di magistrati sempre più sotto assedio.
Al momento non resta che attendere. Per conoscere le decisioni del presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, su quali testi e quali documenti verranno ammessi al processo bisognerà aspettare il prossimo 17 ottobre.

In foto: un collage tra Giorgio Napolitano e Salvatore Cancemi

Fonte:antimafiaduemila