Processo per la mancata cattura di Provenzano: la versione di Mori

di Lorenzo Baldo

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“I miei accusatori mettono in grande rilievo il fatto che sia io, più smaliziato, e quindi sembra una sola volta, che il capitano De Donno, meno esperto e quindi più genuino, in molte circostanze, nel descrivere il rapporto con Vito Ciancimino, abbiamo usato la parola ‘trattativa’, da ciò ricavando la conclusione che noi stessi ammettessimo implicitamente di avere avuto la consapevolezza di gestire un negoziato con Cosa nostra”. E’ un fiume in piena il generale Mori all’udienza odierna del processo per la mancata cattura di Provenzano. “Ora, andare a fare l’esegesi della parola, come tanti puristi della lingua italiana – sottolinea l’ex ufficiale del Ros leggendo un testo di 160 pagine che racchiude le sue dichiarazioni spontanee  -, prendendo in esame ripetute deposizioni rese nell’arco di più ore davanti a magistrati e Tribunali diversi, e pretendere un uso sempre preciso ed inequivoco del linguaggio parlato, come fossimo membri dell’Accademia della Crusca, e tale che non si prestasse, a posteriori naturalmente, a letture ambigue, mi sembra quasi patetico e comunque molto indicativo”.

“Significa in sostanza non avere nulla di veramente concreto contro di noi se si è ridotti a trovare nel nostro linguaggio, per l’uso di un vocabolo piuttosto che di un suo sinonimo, spunti per ricavare accuse che dovrebbero dimostrare inequivocabilmente le nostre colpe – specifica ancora Mori -. Io, malgrado abbia fatto gli studi classici, per indicare il rapporto con un confidente, non ho mai avuto remore o difficoltà, a voce o per iscritto, ad usare, tra i termini quali contatto, approccio, rapporto, anche quello di trattativa, e debbo dire che mai, nel mio ambito professionale o dai magistrati con cui mi riferivo, ho ricevuto rilievi per l’uso ambiguo e quindi equivocabile di questo termine”. Probabilmente basterebbe riprendere passaggi come questo per illustrare l’agguerrita, quanto inconsistente, difesa del principale imputato al processo per il fallito blitz a Mezzojuso davanti alla Corte presieduta da Mario Fontana. A poca distanza da Mori siedono i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo è assente. L’arringa dell’ex comandante del Ros è la sintesi della negazione di ogni tesi accusatoria della Procura: nessuna trattativa, nessun papello, nessun fallito blitz, nessuna protezione per Provenzano. Contemporaneamente dalla difesa si passa all’attacco su più fronti. Ecco allora che sotto il tiro incrociato dell’ex generale finiscono i pm Antonio Ingroia e lo stesso Di Matteo “rei” di fare troppe apparizioni televisive, ma soprattutto di impersonare un’accusa inesistente (a fronte di una loro richiesta di archiviazione nei confronti degli odierni imputati presentata nel 2006). Attacchi vibranti vengono sferrati anche nei confronti del teste chiave, Michele Riccio, il cui racconto sarebbe secondo Mori “pieno di incongruenze”. Massimo Ciancimino viene considerato responsabile di “manovre spericolate” o “depistanti”, mentre le dichiarazioni di Giovanni Brusca vengono ritenute infarcite di “contraddizioni insanabili, dimenticanze ed imprecisioni macroscopiche”. Quello di Mori (che si definisce vittima di un “processo mediatico”) è una sorta di attacco mirato ad una parte della politica, del giornalismo e della società civile. L’ex ufficiale del Ros indica di seguito un “movimento di opinione” in cerca di “visibilità” capace di partorire “ipotesi e teorie suggestive”. Nel grande calderone dei complottisti il generale infila esponenti politici come: Sonia Alfano, Giuseppe Lumia, Antonio Di Pietro, Angela Napoli, Fabio Granata, Luigi Li Gotti, Leoluca Orlando e Rosario Crocetta; avvocati come Fabio Repici e Gioacchino Genchi, fino ad arrivare ad attivisti come Francesco Pancho Pardi e Don Andrea Gallo (quest’ultimo figura nel testo integrale depositato). Ma sono soprattutto certi giornalisti a finire nel mirino: Marco Travaglio, Concita Di Gregorio, Sandra Amurri, Saverio Lodato e Giuseppe Lo Bianco. Anche alla redazione di Antimafia Duemila viene riservato lo stesso trattamento. Così come ad una serie di associazioni, evidentemente a lui non gradite, che vengono di seguito elencate: le Agende Rosse di Salvatore Borsellino, La Rete, Libera, l’associazione nazionale delle vittime della mafia, Quinto Potere, Libera Cittadinanza, Associazione Penso Libero ed altre ancora. I segnali obliqui, e del tutto striscianti, lanciati oggi dall’ufficiale dei carabinieri attraverso questo elenco di personalità e associazioni, lasciano il tempo che trovano. Tra coloro che in questi anni si sono occupati di questo processo, alcuni dei quali sono stati iscritti in questa specie di “black list”, non manca certo la determinazione e la serietà per continuare ad andare avanti attraverso il proprio impegno civile. Le dichiarazioni di Mori sono di fatto già state smentite dalla lunga requisitoria di Nino Di Matteo. Tutto il resto ruota attorno alle mere speculazioni difensive di un imputato e del suo sodale.

Fonte:Antimafiaduemila