Finmeccanica e i denari della mafia

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di Giorgio Bongiovanni e Miriam Cuccu – 22 giugno 2013
Le rivelazioni pubblicate sull’Espresso da Lirio Abbate e Paolo Biondani, che fanno capo al nuovo filone investigativo della Procura di Palermo, hanno fatto luce sugli stretti rapporti che intercorrevano tra l’azienda italiana Finmeccanica e il boss miliardario Vito Roberto Palazzolo. Se queste verranno confermate dalle indagini, è chiaro che ci troviamo di fronte ad uno scenario che va ben al di là della sconcertante trattativa Stato-mafia. E che ci permette di intravedere un’alleanza tra Cosa nostra e buona parte della classe dirigente dello Stato italiano basata non sulla connivenza e sulla corruzione delle istituzioni, bensì sulla complementarietà. L’una non può vivere senza l’altra. 
Se la prima azienda del nostro Paese ha bisogno di appoggiarsi alla forza economica della mafia, allora dietro tutte le stragi non si nasconde solo il movente della trattativa o della vendetta contro alcuni giudici integerrimi. E’ il denaro il vero motore dei rapporti tra Stato e mafia.

I soldi delle organizzazioni criminali che, sporchi di sangue, confluiscono nelle casse dello Stato, oltre che nelle tasche di privati, personaggi appartenenti all’élite politica e finanziaria del Paese. Lo avevano ben compreso gli stessi Falcone e Borsellino (che già al tempo indagavano su Palazzolo) così come Caselli, Ingroia, Di Matteo, Scarpinato e tutti quei magistrati che dopo di loro hanno continuato a vestire la toga con lo stesso rigore morale e la stessa professionalità. Tra questi il pm Gaetano Paci, che sta cercando di fare luce sui nuovi sviluppi investigativi che ruotano attorno agli affari internazionali della Finmeccanica. 
La Procura di Palermo, insieme ai pubblici ministeri di Napoli, sta indagando di fatto su alcuni contratti che l’azienda aeronautica avrebbe ottenuto in Africa. E l’anello di congiunzione sembrerebbe essere proprio Vito Roberto Palazzolo, arrestato il 30 marzo 2012 all’aeroporto di Bangkok mentre si preparava a lasciare la Thailandia. Considerato il tesoriere di Totò Riina e Bernardo Provenzano, nonché tra i principali riciclatori del denaro di Cosa nostra, dal 1988 ha vissuto da uomo libero in Sudafrica sotto il falso nome di Robert Von Palace Kolbatschenko. 
Sono state le dichiarazioni di un nuovo testimone, un manager italiano appartenente ad una società creata da Finmeccanica insieme a un gruppo straniero, a dare la svolta alle indagini. Il testimone ha infatti incontrato Palazzolo insieme ad altri due dirigenti di Finmeccanica ad un convegno d’affari.  Nell’occasione Palazzolo gli lasciò un biglietto da visita scritto a mano, che sarà ora oggetto di studio de i pubblici ministeri di Palermo. 
Vito Roberto Palazzolo avrebbe svolto il ruolo di ‘sponsorizzatore’ della società italiana, oltre a quello di mediatore tra i governi africani e Finmeccanica per la vendita degli elicotteri dell’azienda. Coinvolto nella vicenda anche Patrick Chabrat, responsabile della società per l’Africa subsahariana. Secondo quanto scoperto dagli inquirenti Chabrat sarebbe al centro di un giro di tangenti milionarie gestite da Finmeccanica, dopo essere già stato arrestato per delle presunte mazzette sulla vendita di elicotteri in India. A seguito dell’arresto del presidente Luigi Orsi, al quale faceva rapporto, Chabrat è stato allontanato dal successore Alessandro Pansa.
Si tratta di un’inchiesta che incrina ulteriormente l’immagine della vecchia gestione del gruppo aeronautico italiano. Tuttavia, pare che i pm della Procura di Palermo non potranno contare sulla collaborazione di Palazzolo, in attesa di essere estradato in Italia per volere della Corte suprema thailandese. Il boss di Cosa nostra, nonostante abbia confessato di conoscere Chabrat, si è trincerato  dietro un ostinato silenzio. Resta quindi da attendere gli esiti di un’indagine che potrebbe far emergere nuovi inquietanti particolari sul giro d’affari che coinvolge tanto la mafia quanto lo Stato.

fonte:antimafiaduemila.it