I casalesi e il secondo papello

di Nicola Tranfaglia – 5 febbraio 2013
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Non esisteva soltanto il papello siciliano ma ce ne era anche un altro, scritto all’ombra del Vesuvio. La novità sembra emergere dal processo che si stasvolgendo davanti alla Corte di Assise di S.Maria Capua Vetere, in cui è imputato l’ex sottosegretario dell’ultimo governo Berlusconi Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione di stampo mafioso.
Lo ha rivelato uno dei collaboratori di Giustizia del Clan dei Casalesi, Dario De Simone che ha compiuto in passato numerosi omicidi e che oggi, collegato in video conferenza con la Corte nell’aula del processo, ha raccontato che la sua organizzazione sostenne con forza Nicola Cosentino alle elezioni regionali del 1995.
Ma la rivelazione che ha colpito di più i presenti al dibattimento è quella che parla di una trattativa in corso con una specie di papello diverso da quello dei siciliani.

De Simone ha affrontato anche il problema dell’impegno contro la camorra da parte dei politici che davano fastidio: “Ne parlai con Cosentino e mi disse che don Lorenzo Diana (poi ucciso dalla camorra) e Renato Natale si lamentavano con Luciano VIolante, presidente allora della Commissione Parlamentare Antimafia e lui mandava più controlli.
E’ chiaro che a noi dava fastidio quella pubblicità. Perciò per esempio quello che ha fatto Saviano ha fatto tanto rumore”.
Secondo De Simone la trattativa tra la camorra e la classe politica finì nel nulla perché Francesco Schiavone detto Sandokan che è il padrino dei casalesi disse che non era d’accordo.
Inoltre De Simone afferma che: “I nostri referenti erano l’allora ministro Conso e poi il vescovo don Riboldi. Tutti i più grossi boss della Campania, da Alfieri ai Moccia ai Mallardo e ai Licciardi tutti erano d’accordo in questo senso. Noi dovevamo far trovare armi, pistole, eccetera, ci dovevamo arrendere ma in cambio sarebbero caduti gli ergastoli o il carcere duro. Ne parlai anche con Cosentino e lui mi disse che Forza Italia poteva intervenire con delle leggi.”
Il pm Milita che sostiene l’accusa a Santa Maria Capua Vetere  è già costretto alla protezione costante in quanto è nel mirino dei Clan e questo mostra la forza che la camorra continua ad avere nella regione campana.
Quello che emerge dal processo Cosentino è quanto mai inquietante perché conferma, ancora una volta, che le associazioni mafiose –  non soltanto la mafia siciliana per la quale molti altri processi lo hanno mostrato – ma anche la ‘ndangheta calabrese e la camorra campana, hanno tenuto rapporti costanti con la politica e hanno avuto momenti di vera e propria trattativa con alcuni rappresentanti del Parlamento o dello Stato ma in alcuni casi – come nel caso dell’onorevole Cosentino – sia pure solo dopo alcuni anni, si è giunti all’incriminazione e al processo. Insomma le mafie hanno rapporti stretti tra loro e, pur con le loro differenze indubitabili, si muovono come se fossero una federazione di agenzie del crimine.
Ma non sappiamo quali altri capi e sottocapi del mondo camorristico continuino ad avere, come succede per altre associazioni criminali in altre regioni italiane, intrattengono  tuttora rapporti effettivi con altri rappresentanti dello Stato, a livello regionale e locale.

In foto: Nicola Cosentino e Francesco Schiavone detto “Sandokan”

Fonte:Antimafiaduemila