Piera Aiello, Ignazio Cutrò e Rosina Benvenuto: storie di testimoni a perdere

di Lorenzo Baldo e Anna Petrozzi

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“Piera, tu cosa vedi allo specchio?”.
“Una ragazza con un passato turbolento, un presente inesistente e un futuro con un punto interrogativo grande quanto il mondo”.
Il giudice la guarda fisso negli occhi e dice: “Io vedo una ragazza che si è ribellata a un passato turbolento che non ha mai accettato. Vedo una ragazza che ha un presente e avrà un futuro pieno di felicità. Non per altro: ha diritto ad avere felicità per tutto quello che sta facendo”.

E’ come se le parole di Paolo Borsellino mentre incoraggiava Piera Aiello a continuare la strada intrapresa da testimone di giustizia potessero tornare nell’aula magna del palazzo di giustizia. Dietro al grande tavolo di legno massiccio accanto a Sonia Alfano siedono familiari di vittime di mafia e testimoni di giustizia. “Siamo 70 testimoni in tutta Italia – racconta Piera Aiello ai delegati della Crim –, ci additano come piccoli carbonari, ma non abbiamo nulla da nascondere. Giorno per giorno paghiamo un prezzo troppo alto di sofferenze”. Moglie di Nicola Atria, nuora di don Vito Atria, boss di Cosa Nostra di Partanna, piccolo paese in provincia di Trapani Piera decide di parlare dopo che i clan della mafia trapanese le uccidono il marito. La giovane si rivolge direttamente a Paolo Borsellino allora procuratore di Marsala che la fa trasferire subito in una località segreta. Poco tempo dopo si unirà a lei la giovanissima cognata, Rita Atria, che, dopo la strage di via D’Amelio decide di togliersi la vita schiacciata dal dolore di avere perduto il magistrato, quasi un secondo padre per lei, che l’aveva aiutata nel suo cammino di testimonianza con la giustizia. “Stiamo riponendo la vita di 70 famiglie nelle vostre mani – afferma Piera con disarmante semplicità – ho lottato 23 anni contro gli uomini più disattenti dello Stato che ci hanno voltato le spalle. Ho lottato per anni contro la mafia e ora chiedo all’Europa di essere dalla nostra parte”. Accanto a lei è seduto Ignazio Cutrò, fisico imponente, tanta rabbia e sete di giustizia addosso. “Finora io e la mia famiglia siamo stati scortati da personale non specializzato – sottolinea immediatamente l’imprenditore di Bivona (Ag) che ha denunciato e fatto condannare nel processo “Face Off” (contro la cupola mafiosa della provincia di Agrigento) gli estorsori mafiosi, autori degli attentati che avevano danneggiato i mezzi della sua impresa edile –. E’ impensabile che ciò accada ai testimoni di giustizia. All’Europa e al governo italiano chiedo di non lasciare soli i testimoni, e di mettere in pratica quanto promesso e finora mai realizzato per tutelarli”. Durante la sua testimonianza Cutrò denuncia inoltre alcuni episodi di grave distrazione da parte della sua scorta in un paio di trasferimenti con la sua famiglia che hanno rivelato “tutti i limiti delle mancanze di sicurezza utilizzati da personale non specializzato”. Di fatto dal 14 ottobre di quest’anno sotto l’abitazione della famiglia di Ignazio Cutrò non staziona più la camionetta dei carabinieri che in questi anni ha garantito la sua sicurezza. Al posto degli agenti dell’arma è stata posta una telecamera che sorveglia la casa con tutte le conseguenze che comporta l’assenza di una presenza effettiva. Ignazio è ben consapevole dei rischi ma con la determinazione che lo contraddistingue ribadisce di non avere la minima intenzione di fare un passo indietro. “Contro i soprusi della ‘ndrangheta ci siamo rivolti allo Stato, contro i soprusi dello Stato, ci rivolgiamo a voi”, parole dette tutte d’un fiato dalla testimone di giustizia calabrese Rosina Benvenuto, che insieme al marito sono riusciti a far condannare ‘ndranghetisti della cosca Labate di Reggio Calabria. La signora Benvenuto racconta agli europarlamentari i silenzi istituzionali seguiti alle sue denunce e soprattutto racconta da madre il dramma dello sradicamento familiare improvviso conseguente alla sua scelta di denunciare. “Uno dei miei figli non ha voluto entrare nel programma di protezione, per cui per la legge non può avere rapporti con gli altri familiari. E’ assurdo. Ho denunciato ogni illegalità e lo Stato non mi tutela, mi sento un peso e non posso neanche avere rapporti con mio figlio, tutta la mia famiglia è stata divisa”. “Chiedo alla Commissione di prendere a cuore questa causa – sottolinea con voce segnata dal dolore –, non siamo oggetti, siamo persone…”. Angoscia, dolore,  e tanta disillusione nelle parole di questa donna. Di seguito l’On. Rita Borsellino sottolinea come in Italia ci sia “una buona normativa sui testimoni di giustizia”, ma che “questa stessa non viene applicata bene e spesso disattesa, determinando forti disagi e vuoti di sicurezza alle vite dei 70 testimoni di giustizia che hanno denunciato e vivono sotto la protezione dello Stato in condizioni difficili e penalizzanti anche da un punto di vista umano”. “Più di una volta ho portato all’attenzione della Commissione Libe, giustizia e libertà civili del Parlamento europeo – ribadisce l’eurodeputato – la delicata questione dei ‘testimoni di giustizia’, un fenomeno però poco noto in ambito europeo e sul quale occorre una maggiore sensibilizzazione da parte dei Paesi membri. Rivolgo un invito a questa commissione Crim e ai colleghi presenti di porre particolare attenzione a questa problematica e assicurare un coordinamento dei Paesi europei per redigere una normativa comune sul regime di tutela e protezione dei testimoni di giustizia”. La presidente della Commissione antimafia europea, Sonia Alfano, ribadisce il massimo impegno della Crim nell’affrontare con ogni mezzo a disposizione le questioni sollevate dai testimoni di giustizia. Innanzitutto subito una lettera da parte della Crim da inviare alla presidente della Libe sul tema testimoni di giustizia e poi ancora via libera ad una serie di iniziative mirate a sensibilizzare i ministri europei. Nel frattempo il messaggio della Alfano al Ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, per chiedere alla stessa di riferire sul tema in Commissione al Parlamento Europeo è stato appena lanciato. Così come pende la sua richiesta di impegno da parte del Parlamento italiano “per affrontare e risolvere le condizioni di abbandono in cui vivono i testimoni di giustizia – definiti ‘eroi’ dalla stessa Alfano – e le vittime dei reati di stampo mafioso, nonché le difficoltà dell’imprenditoria vessata dalle organizzazioni criminali”.

 

Fonte:Antimafiaduemila