Il grido dei testimoni di giustizia e familiari di vittime di mafia all’Europa

di Lorenzo Baldo e Anna Petrozzi

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Palermo.“Perché il silenzio sui testimoni di giustizia?”. La domanda resta sospesa nell’aula magna del palazzo di giustizia del capoluogo siciliano. Nel 1993 Giuseppe Carini era uno studente universitario di Brancaccio, frequentava l’Istituto di medicina legale di Palermo e padre Pino Puglisi sapendo che assisteva alle autopsie gli aveva chiesto “un favore”: “Giuseppe, quando toccherà a me, cerca di starmi vicino”.

Purtroppo Giuseppe si era ritrovato proprio ad assistere all’omicidio di don Pino e da quel momento era dovuto scappare da Palermo dopo aver testimoniato quanto aveva visto. A distanza di tanti anni la sua emozione, il suo dolore e la sua rabbia bruciano ancora, più volte i suoi occhi si arrossano, a volte le lacrime vengono ricacciate indietro, altre volte no. “C’è da chiedersi se c’è una reale volontà politica di migliorare questo Paese – chiede Carini osservando attentamente i delegati della Crim che lo ascoltano attraverso le voci dei traduttori che arrivano in cuffia –, di liberarlo dal giogo di una civiltà contraria, di una civiltà della morte… C’è da chiedersi perché, se una vita senza né arte né parte è una vita da buttare via, la vita di chi testimonia contro le mafie finisce per fare la stessa brutta fine”. “Testimoniare contro le mafie – sottolinea amaramente – è un salto nel buio, è come precipitare dentro un pozzo senza fine dove paradossalmente la via di uscita mette in discussione e in crisi le stesse ragioni che hanno portato alla testimonianza”. Gli eurodeputati sono particolarmente colpiti dalla vibrazione delle sue parole quando spiega di “effetti devastanti” frutto di “scelte politiche fallimentari”. Giuseppe Carini illustra “le resistenze” da parte della classe politica alle modifiche della legge 45 del 2001 in materia di testimoni di giustizia. “Come disse Henry Louis Mencken: ‘L’ingiustizia è relativamente facile da sopportare. È più difficile sopportare la giustizia’, afferma con convinzione denunciando un gravissimo “calo di attenzione” nei confronti del loro status. Il testimone di giustizia parla di dispositivi di sicurezza “troppo spesso lasciati ad un’arbitrarietà discrezionale pericolosissima” denunciando episodi di “violazione del segreto di ufficio” con riferimento al cambio di generalità che spetta ai testimoni.
Citando ampiamente il documento sui testimoni di giustizia del 2008 Carini riapre una ferita mai sanata. Il 22 maggio 2008 l’On Angela Napoli aveva presentato all’allora ministro dell’Interno un’interrogazione parlamentare sui testimoni di giustizia. Il Primo Comitato della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare nella XV^ legislatura aveva svolto un’attività d’inchiesta sui testimoni di giustizia e si era fatto promotore di una relazione, approvata all’unanimità, con la quale, dopo aver elencato le problematiche e gli aspetti critici che erano stati rappresentati dai vari testimoni di giustizia, aveva proposto al Parlamento una riforma del sistema. Nell’interrogazione parlamentare veniva messo nero su bianco che “tra i principali punti di criticità evidenziati” erano apparsi “prioritari”, proprio “quelli oggetto delle varie proteste di quegli ultimi mesi”, ossia “le difficoltà riscontrate nel reinserimento nel contesto socio-lavorativo, l’inadeguatezza delle misure di protezione, le difficoltà nell’accesso alle agevolazioni bancarie, l’impossibilità di fare stabile affidamento sull’ausilio di professionisti, di tecnici, ovvero di veri e propri consulenti e, quindi, le condizioni di isolamento nelle quali vengono a ritrovarsi pressoché tutti i testimoni di giustizia ed i loro familiari”. L’amarezza di Carini sta tutta nel constatare come la situazione dal 2008 ad oggi sia solo peggiorata in quanto l’istituto dei testimoni di giustizia è a tutti gli effetti “una risorsa nella quale l’attuale governo non intende investire in termini di uomini, mezzi e risorse creando di fatto tutte quelle situazioni politico-sociali che sono alla base di problemi enormi quali quello dell’omertà, la disincentivazione delle collaborazioni volontarie, la mortificazione della vocazione testimoniale dell’associazionismo antimafia”. “I testimoni sono i primi a sperimentare sulla propria pelle quelle gravi cadute di efficienza del sistema dovute a inettitudine, trascuratezza e irresponsabilità. Dopo un momento di assistenza iniziale, il teste viene ‘abbandonato’ in balia di se stesso e delle sue esigenze familiari, lavorative e sociali che non solo non vengono prese in esame e soddisfatte, ma incontrano ostacoli – per lo più di natura burocratica – frapposti proprio da chi è, per legge, preposto a superarli e a risolverli”, le parole tratte dalla documentazione della Commissione antimafia rilette lentamente da Carini rimbombano pesanti nell’aula. “Noi chiediamo al ministro degli Interni – continua – di conoscere le ragioni dei suoi silenzi rispetto alle problematiche dei testimoni di giustizia. Vorremmo sapere dal signor ministro degli Interni per quale motivo il documento che abbiamo presentato quasi da 10 mesi rimane sul suo tavolo senza alcuna risposta. Chiediamo al governo italiano di attuare tutte quelle proposte che erano partite da un’inchiesta della commissione parlamentare antimafia del 2008”. Giuseppe Carini anticipa di seguito il documento consegnato alla Crim intitolato ‘Dalle buone pratiche alle scelte coraggiose’. Uno dei punti rilevati nel documento consegnato alla Commissione antimafia europea riguarda “la protezione e inserimento lavorativo dei testimoni anche oltre i confini nazionali” che preveda “una direttiva che sia giuridicamente vincolante”. “L’Europa più volte è intervenuta in merito alla protezione dei testimoni – evidenzia Carini –, dal 1995 sono state formulate dall’Europa numerose risoluzioni, raccomandazioni, dossier. L’ultimo è datato 2007 e fa parte della Commissione delle Comunità Europee, nelle parti finali di quel documento viene riportato che l’Europa ha deciso di non intervenire sulla legislazione dei testimoni semplicemente perché i tempi non erano maturi, o perché gli stati erano riluttanti e avevano deciso di rinviare l’intervento dell’Unione Europea in materia di testimoni”. “Noi testimoni di giustizia – conclude – ci siamo presentati nelle aule di tribunale a prescindere dal fatto che i tempi fossero più o meno maturi, senza riluttanza e senza rinvii. Noi chiediamo quindi scelte di lealtà, i testimoni dimostrano lealtà civile nei confronti delle istituzioni italiane ed europee, non vorremmo pensare che si vada dalla lealtà civile alla lealtà della classe politica”. Un momento di silenzio e poi un lungo applauso da parte dei delegati del Crim visibilmente impattati da simili testimonianze.

Fonte:Antimafiaduemila