Difendiamo Antonio Ingroia

di Giorgio Bongiovanni

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“Non sono mai stato una toga rossa e non sarò una toga arancione, sono una toga indipendente.”
Antonio Ingroia

“Il narcotraffico ha una sua importantissima base in Guatemala, in connessione con tutto il Sud America. Da quando mi dicesti della tua intenzione di andare via, mi sono fatto una cultura sul punto! I Las Zetas, questa organizzazione mafiosa centroamericana, gestisce tutto il traffico dal Sud America e per il Nord America e l’Europa.

Le loro ricchezze sono enormi e con queste riescono a piegare ai loro voleri i governi del centro America, con conseguenze nefaste per la lotta a tutte le mafie. Ecco perché l’ONU ha ritenuto che tu sia la persona giusta per andare a recidere la testa della piovra centroamericana. Come in Italia in passato, anche e di più in questi paesi la mafia droga la democrazia, la rende un falso simulacro di sacri principi. E democrazie non vere, narcodemocrazie, incidono sulle economie di tutto il mondo, falsano i principi della libera circolazione delle merci”. Era il 22 luglio quando Domenico Gozzo scriveva una lettera aperta al suo amico e collega Antonio Ingroia in merito alla sua decisione di accettare un prestigioso incarico delle Nazioni Unite in Guatemala contro il narcotraffico della durata di un anno. “Ti chiedo di restare – scriveva il procuratore aggiunto di Caltanissetta –, e lo faccio anche se potrei egoisticamente avere interesse – come ti ho detto – a che il tuo posto si liberi, per far domanda e tornare nella ‘nostra’ Palermo. Te lo chiedo non certo perché gli altri colleghi palermitani non siano in grado, da soli, di continuare a lavorare. Sono sicuro che la loro professionalità, in ogni caso, saprà andare avanti. Te lo chiedo perché – dal mio osservatorio privilegiato di Caltanissetta, dalle inchieste sulle stragi – so bene che spesso l’accumularsi di molteplici motivazioni contro una persona, anche di diverse organizzazioni criminali, ma anche di istituzioni para-mafiose, è la chiave di tutte le stragi. Sin quando non si entra nel ‘gioco grande’, sin quando non si realizza il convergere di molteplici interessi alla eliminazione di qualcuno, la strage non si verifica. E tu, che qui sei già così esposto, anche dal punto di vista terroristico, andando in centro America potresti stimolare (involontariamente, certo!) quella convergenza di interessi che io temo in questo momento”. Questi passaggi della lettera di Nico Gozzo, oggi – quando ormai Antonio Ingroia si è insediato da un mese nel suo ufficio in Guatemala – riaprono la discussione su una questione delicatissima: i rischi di un attentato nei confronti di Ingroia. Da una parte vi sono serissime ragioni che fanno propendere per una possibile attuazione di un piano per l’eliminazione del magistrato. Di contraltare vi è una motivazione altrettanto valida per la quale un’azione violenta contro il neo dirigente dell’unità investigativa specializzata nella lotta al narcotraffico e alla lotta contro le impunità dei criminali politici e dei dittatori del Guatemala (CICIG) non si faccia. Vediamo di analizzarle entrambe.

In questo momento il dott. Ingroia non può essere ucciso da quella stessa convergenza di interessi che ha portato all’eliminazione di Falcone e Borsellino, e cioè Cosa Nostra insieme ai poteri forti (da sempre collusi con la mafia) in quanto di “ostacolo” alla seconda Repubblica. Antonio Ingroia (così come alcuni magistrati di Palermo e Caltanissetta) rappresenta un simbolo, un nemico non solo per le grandi organizzazioni criminali come Cosa Nostra, ma soprattutto per i poteri forti del nostro Paese che temono un suo ritorno in Italia pronto a riprendere in mano l’inchiesta sulla trattativa e sui sistemi criminali (magari con incarichi direttivi superiori), e chissà mai in una nuova veste istituzionale. Non siamo quindi di fronte alla possibilità di un attentato nei confronti di un “ostacolo” oggettivo, ma piuttosto di un attentato “preventivo”. In questo caso si unirebbero quelle forze politico-criminali che non vogliono lasciare il Paese in mano ad uno STATO formato da personaggi integerrimi, giusti, forgiati dall’etica della giustizia e dal rispetto della legge, ma che prediligono personaggi di “transizione” o appartenenti alla “casta”. E Ingroia non è chiaramente un personaggio di “transizione”. Ma chi sono questi poteri che si opporrebbero alla creazione di una Terza Repubblica nella quale governo e magistratura lavorerebbero come poteri indipendenti dello Stato, ma uniti nella lotta alla mafia? Sicuramente il potere finanziario, i riciclatori di denaro sporco, la politica corrotta, insieme a quella piccola ma potente parte della magistratura collusa e politicizzata, le massonerie deviate, una parte dei vertici del Vaticano (già protagonisti di scandali del passato a partire da quello dello Ior e via dicendo); una vera e propria convergenza di interessi nazionale e internazionale.

In questo momento i grandi trafficanti di droga sono le organizzazioni criminali del centro America (Messico, Colombia, Venezuela) insieme alla ‘Ndrangheta e ai potenti boss mafiosi americani (che non provengono solamente dalle storiche 5 famiglie siciliane, ma sono l’espressione di una mafia miliardaria “legalizzata”). Costoro detengono il potere sul traffico della cocaina per quanto riguarda la parte occidentale del pianeta. La ‘Ndrangheta insieme al Cartello colombiano e a quello messicano sono i padroni del traffico di cocaina mondiale, Cosa Nostra partecipa a questi traffici a livello di “prestigio” in quanto rappresenta la “madre” di tutte le mafie e a livello di “influenza” attraverso investimenti economici (molti) e di uomini (pochi). Attualmente il ruolo di Cosa Nostra è impersonato dal superlatitante Matteo Messina Denaro che insieme al suo clan partecipa attivamente al traffico internazionale di cocaina. Il clan di Matteo Messina Denaro detiene il contatto diretto con il Venezuela e con gli Stati Uniti d’America. In questo momento a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta non interessa uccidere Ingroia, nemmeno se si trova in Guatemala. Allo stesso modo le grandi organizzazioni criminali messicane e colombiane, al momento, non pensano ad eliminare Ingroia, ma se quest’ultimo manterrà la metodologia di repressione che ha intrapreso dal momento del suo insediamento a capo del CICIG allora la convergenza di interessi criminali contro di lui potrebbe attivarsi. Ad una parte del potere nazionale e ad una parte del potere internazionale interessa quindi non venire intralciati dalle attività estere e italiane del magistrato palermitano. La parte del potere internazionale ha tutto l’interesse ad eliminare Ingroia propriamente per il suo obiettivo di smascherare gli impuniti della dittatura del Guatemala che sono gli stessi che hanno investito nei grandi traffici di stupefacenti. Questi personaggi sono in contatto con i Cartelli colombiani e centro americani. Non dimentichiamo che in questo momento Antonio Ingroia è il magistrato fortemente popolare quindi una sua eliminazione potrebbe possibilmente sollevare un’indignazione anche a livello internazionale. Chi invece è già “irritato” al punto di “chiedere” la morte del magistrato è il prossimo potere che arriverà in Italia che per forza di cose dovrà trovare un accordo con la mafia. Ma chi sta cercando un accordo con la mafia? Beppe Grillo? No. Antonio Di Pietro? No. Il centrodestra? Si. Il centrosinistra? Si. Menzione a parte merita il neo presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, che, se manterrà le sue promesse di totale intransigenza nei confronti della mafia, diventerà egli stesso un “ostacolo” da rimuovere. Da parte nostra auspichiamo fortemente che il neo Governatore mantenga tutte le sue promesse e che lo Stato sia presente per proteggerlo.

Ricapitolando. Con l’omicidio preventivo il sistema criminale di potere vuole impedire che Antonio Ingroia acquisisca in Italia ruoli direttivi importanti in campo giudiziario sul fronte dell’inchiesta sulla trattativa, così come incarichi istituzionali che possano mettere in pericolo i poteri criminali che condizionano lo Stato. Se i poteri da sempre collusi con la mafia avranno certezze che Ingroia ricoprirà i suddetti incarichi innescheranno la consueta convergenza di interessi per farlo uccidere coinvolgendo i narcotrafficanti guatemaltechi, i cartelli messicani, la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra. Allo stesso modo il nuovo potere che scenderà in campo in Italia potrà chiedere l’eliminazione del magistrato sempre a livello di “prevenzione”. Dal canto suo Cosa Nostra potrà replicare di non voler realizzare l’omicidio in Sicilia per evitare la relativa reazione dello Stato che andrebbe a colpire un’organizzazione già segnata dagli arresti dei grandi capi, suggerendo come location proprio il Guatemala. E sarà proprio Matteo Messina Denaro ad impedire che si faccia in Sicilia per evitare che Cosa Nostra venga definitivamente azzerata. Stesso discorso da parte della ‘Ndrangheta che si guarderebbe bene di uccidere un magistrato in loco ben sapendo la reazione a catena che provocherebbe, optando anch’essa per un’azione violenta fuori dall’Italia. Quindi l’omicidio in Guatemala verrebbe organizzato in combine tra i cartelli del Centro America, la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra. I mandanti andrebbero individuati tra gli impuniti del Guatemala, i vertici di Cosa Nostra, i vertici della ‘Ndrangheta, su richiesta dei poteri forti nazionali. Non a caso tra il Guatemala, il Messico, la Colombia e il Venezuela ci sono i più grandi traffici internazionali delle nostre mafie e dei nostri poteri forti. Se Ingroia fosse andato in un altro Paese, seppur segnato da guerre civili o altro, ma lontano da questi affari miliardari (in euro) non avrebbe rischiato la vita come invece accade in Guatemala.

Ingroia sta entrando in quello che Giovanni Falcone aveva definito il “gioco grande” ed è diventato “troppo” famoso, “troppo” conosciuto e “troppo” pericoloso. Anche a potentati criminali che operano negli Stati Uniti andrebbe bene l’eliminazione di Ingroia perché con il suo lavoro in Guatemala metterà inevitabilmente a repentaglio il consumo di cocaina in America, considerato il primo paese consumatore di cocaina al mondo. Alcuni criminali americani non andranno quindi ad apprezzare il lavoro di Ingroia se contribuirà a far arrestare i principali fornitori di cocaina in America dove il consumo di questa droga coinvolge pesantemente tutte le fasce sociali.

Di pari passo in Italia la massoneria deviata – che sta lavorando per ottenere un posto all’interno del nuovo assetto di potere – non tollera Antonio Ingroia, la sinistra istituzionale poi, con la bocciatura interna di Magistratura Democratica, ha dato il chiaro segno di averlo abbandonato e non sosterrebbe mai una sua eventuale candidatura.

Secondo il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ci sarebbe da “rabbrividire” e da “espatriare” se Ingroia assumesse un incarico di governo. E’ un messaggio inconfondibile che indica come certa stampa stia preparando il terreno ad un’eventualità che terrorizza il sistema criminale di potere. Simili proclami ricordano i timori paventati dal libellista Lino Jannuzzi a proposito di Giovanni Falcone qualora fosse divenuto procuratore nazionale antimafia e Gianni De Gennaro capo della Dia. In quel caso lo stesso Jannuzzi aveva scritto che Falcone e De Gennaro erano “i maggiori responsabili della débacle dello Stato di fronte alla mafia” e che quindi bisognava stare attenti a “due Cosa nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma… Sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto”.

La seconda possibilità con la quale abbiamo aperto questa riflessione riguarda le motivazioni per le quali fortunatamente al momento non potrebbe attuarsi questo progetto di morte. Perché non lo fanno? Al momento la ‘Ndrangheta – anche se sotto pressione da parte della magistratura e dalle Forze dell’ordine – conserva l’80% del patrimonio al mondo costituito in miliardi di euro e non ha interessi a farlo. Cosa Nostra e i cartelli del Centro America per lo stesso motivo. Tuttavia i poteri forti degli stati in questione potrebbero imporglielo. Prendere o lasciare: o lo fate o noi vi annientiamo. Ecco che si viene a creare una trattativa tra organizzazioni criminali e poteri forti. Gli stati-mafia sono anche disposti a sopportare una rivolta popolare che seguirebbe l’omicidio di Ingroia piuttosto che rischiare di vedere ostacolati i loro progetti criminali. Nei loro piani c’è la certezza che dopo alcuni mesi di proteste tutto rientrerebbe nella norma. Allo stesso modo da parte loro c’è la certezza che ritrovarsi Antonio Ingroia come Procuratore nazionale antimafia, oppure come capo di una procura antimafia potrebbe rappresentare l’inizio della fine per Cosa Nostra. Che, insieme alle altre mafie, sono consapevoli che senza l’appoggio di quei poteri rappresentati da uno Stato-mafia – rinforzato dalle grandi economie illegali – possono considerarsi finite. E quegli stessi poteri sanno di poter arrivare, attraverso una propria trattativa con Cosa Nostra o con la ‘Ndrangheta, financo di ordinare alle organizzazioni criminali l’esecuzione di una strage.

Se, grazie a Dio, questi sistemi di potere criminale non hanno ancora la forza per realizzarla è solo perché tutte le convergenze non sono chiuse. La domanda che resta sospesa è: fino a quando?

Siamo consapevoli che una simile analisi potrà scatenare l’ironia di molti personaggi che interagiscono amabilmente con il “quarto” e il “quinto” potere, per costoro noi rappresentiamo un’antimafia “complottista”, retorica, dietrologa e financo “fanatica”. Al di là di questo continuiamo a ritenere, con maggiore convinzione, che il ruolo di noi cronisti sia quello di informare e quindi di lottare per evitare che le “cerniere” della morte si chiudano a danno degli ultimi baluardi della giustizia che uomini come Antonio Ingroia incarnano.

Giorgio Bongiovanni

Fonte:antimafiaduemila