Processo Mori: l’ombra di Mannino nelle testimonianze di Sandra Amurri e Riccardo Guazzelli

di Lorenzo Baldo – 18 maggio 2012
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Palermo.“Sono circa le 12,30 di mercoledì 21 dicembre quando arrivo alla pasticceria Giolitti in via degli Uffici del Vicario, a due passi da Piazza del Parlamento, dove ho appuntamento per ragioni di lavoro con l’onorevole Aldo Di Biagio di Fli. Entro, ma non lo vedo. La voglia di accendere una sigaretta supera anche il freddo pungente. Esco. Mi siedo a un tavolino e ordino un cappuccino”. E’ il 10 marzo quando la giornalista del Fatto Quotidiano, Sandra Amurri, ricostruisce quanto verbalizzato qualche giorno prima ai magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia.

“Poco dopo – scrive la cronista – vedo arrivare, a passo lento, l’onorevole Calogero Mannino in loden verde, in compagnia di un signore dai capelli bianchi, occhiali, cappotto scuro taglio impermeabile e in mano un libro e dei fogli. Non so chi sia. I due stanno parlando. E continuano a farlo fermandosi in piedi accanto al mio tavolo. Mannino, che mi dà le spalle, dice con tono preoccupato e guardandosi più volte intorno sospettoso: ‘Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione’”. Davanti alla IV Sezione penale la giornalista ha ribadito punto per punto il suo sconcerto nell’aver captato una simile conversazione. L’uomo che parla con Mannino è Giuseppe Gargani, ex democristiano, demitiano, infine berlusconiano. Gargani è un europarlamentare e recentemente è passato all’Udc di Casini. La Amurri ha raccontato al pm Di Matteo di aver annotato quello strano episodio e di averlo contestualizzato solo dopo aver letto le agenzie dello scorso 23 febbraio che battevano la notizia di Calogero Mannino indagato a Palermo all’interno dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia; il reato contestato a Mannino è quello previsto dall’articolo 338 del Codice penale: “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”, aggravato dall’articolo 7 (cioè dall’intenzione di favorire Cosa Nostra). Ed è a seguito di quei dispacci di agenzia che la giornalista del Fatto Quotidiano ha informato i pm Ingroia e Di Matteo di quella conversazione tra Mannino e Gargani, giorni dopo il suo racconto è stato verbalizzato. In aula la difesa di Mori ha ascoltato impassibile senza porre alcuna obiezione alla teste. Il ruolo di Calogero Mannino all’interno dell’inchiesta sulla trattativa è parso trasparire dalla sua stessa “ansia” di concordare con De Mita una versione uniforme da dare ai magistrati della procura di Palermo. La testimonianza della giornalista è indubbiamente un ulteriore tassello in un mosaico nel quale, seppur con grandi difficoltà, si intravede l’interfaccia che trattò con Cosa Nostra. Riccardo Guazzelli, figlio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, ucciso dalla mafia il 4 aprile 1992 a Porto Empedocle (Ag) è stato il teste successivo. “Non ricordo, ma non ho motivo per non confermare”, con questa frase Guazzelli jr ha replicato più volte al pm che gli contestava alcune sue dichiarazioni rese in aula, in alcuni casi più “ammorbidite” rispetto ai suoi precedenti verbali. Ed è rileggendo il verbale di Riccardo Guazzelli del 1 febbraio 1994 che Di Matteo ha focalizzato il rapporto tra il sottoufficiale dei carabinieri e l’ex ministro democristiano. “Mio padre conosceva personalmente il Mannino – dichiarava nel ’94 Guazzelli jr – avendolo incontrato alcune volte dopo il mio ingresso in politica, avvenuto nel 1990 nelle fila della Dc, ed a causa di questo: ad esempio se qualche volta nel nostro territorio il Mannino teneva qualche comizio, io naturalmente andavo e mio padre veniva con me perché la cosa lo interessava e divertiva”. “In occasione del funerale del procuratore Messana (Rosario Messana, ex procuratore di Sciacca, ndr), il Mannino e mio padre che si trovava con me, si incontrarono e parlarono. Successivamente il politico invitò mio padre a seguirlo nella sede della sua segreteria politica di Sciacca, invito al quale mio padre aderì. Io andai con lui, ma non entrai nella stanza dove i due si fermarono a parlare. Non so, non avendolo mio padre riferito, di che cosa abbiano parlato”. Nel passaggio successivo del verbale Guazzelli entrava nel cuore di una vicenda ancora da esplorare. “Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 – specificava – il Mannino chiese un incontro a mio padre nella sua segreteria di Palermo. Io non andai, ma fu mio padre poi a riferirmi il contenuto dell’incontro, avvertendomi che si trattava di cosa molto riservata, della quale voleva che io non parlassi con nessuno. In particolare mio padre mi riferì che in quell’occasione il Mannino gli disse di aver ricevuto delle minacce di morte e che gli avevano fatto trovare una corona di fiori dinanzi alla sua abitazione di Palermo, insistente per quel che so vicino Villa Sperlinga. In quella occasione il Mannino disse a mio padre: ‘… o uccidono me o uccidono Lima’”. Dopo l’assassinio di Lima, invece, in un altro incontro Mannino aveva detto a Giuliano Guazzelli: “…hanno ammazzato Lima, potrebbero ammazzare anche me”. All’epoca dei fatti lo stesso Calogero Mannino si era ben guardato di denunciare questi suoi timori limitandosi a confidarli unicamente alle persone a lui più vicine. In aula Guazzelli ha ricordato che al funerale del padre il generale Subranni e Pietro Vetrano (ex consigliere comunale della Dc) avevano parlato dell’inchiesta “mafia e appalti” e ugualmente di come il maresciallo Giuliano Guazzelli avesse allontanato con forza Angelo Siino un giorno che si era presentato in casa loro. Durante la sua audizione Riccardo Guazzelli ha quindi raccontato come nel ’94 fosse venuto a conoscenza tramite l’agente del Sisde Salvo Sghembri che Bruno Contrada aveva proposto al padre di entrare a far parte dei Servizi segreti civili e che lo stesso genitore avesse in animo di accettare la proposta. La presenza del maresciallo Giuseppe Scibilia fuori dall’aula è stata motivo di interesse da parte del pm così come del presidente della Corte, Mario Fontana, che ha domandato a Guazzelli se si fosse chiesto la ragione per la quale Scibilia si trovasse lì nonostante risiedesse nel messinese. Il figlio del sottoufficiale ucciso vent’anni fa non ha saputo fornire alcuna spiegazione. Successivamente l’imputato Mori ha specificato che il M.llo Scibilia si trovava al palazzo di giustizia in quanto era venuto a trovare lui e il suo collega Obinu come segno di amicizia (frutto di una lunga collaborazione professionale). Seduta tra i giornalisti anche la figlia del giornalista ucciso dalla mafia Beppe Alfano, Sonia, europarlamentare, nonché presidente della commissione antimafia europea. La presenza di Scibilia ha allarmato anche lei, memore delle inchieste sulla mancata cattura di Nitto Santapaola nel barcellonese che hanno visto tra i protagonisti proprio il M.llo Scibilia, all’epoca dirigente del Ros di Messina. Nel sentire Mori prendere le difese di Giuseppe Scibilia sono tornate alla mente le dichiarazioni del generale attualmente sotto processo rese nel ’95 ai magistrati che investigavano sul suicidio del maresciallo Antonino Lombardo (in merito alla revoca dell’incarico a Lombardo per una trasferta americana finalizzata a sentire il boss mafioso Tano Badalamenti). “Avendo saputo – aveva dichiarato Mori ai magistrati –  che il sottufficiale avrebbe sporto querela contro le persone che lo avevano accusato (di contiguità mafiosa, ndr), discussi della cosa con il maggiore Obinu. Questi segnalò l’inopportunità di esporre in quel momento il sottufficiale ad eventuali ulteriori polemiche, che potevano derivare dalla diffusione della notizia del suo incarico di portare Badalamenti in Italia e preso atto di tali osservazioni, parlai con il generale Nunzella (allora comandante del Ros, ndr) ed insieme stabilimmo di mandare negli USA il maresciallo Scibilia, al posto di Lombardo”. Nessuna audizione in aula invece per la vedova di Paolo Borsellino. La signora Agnese Piraino Leto sarebbe dovuta comparire oggi in udienza, ma ha fatto pervenire ai magistrati un certificato medico che attesta le sue gravi condizioni di salute. Scartata l’ipotesi di una deposizione in videoconferenza il tribunale ha deciso, con l’accordo delle parti, di acquisire i verbali con le dichiar
azioni rese dalla testimone ai pm di Caltanissetta e a quelli di Palermo. Verbali in cui la signora Borsellino racconta le confidenze del marito sull’esistenza di un patto tra mafia e Stato e su quella possibile contiguità mafiosa del generale del Ros Antonio Subranni oggetto di una esternazione di Borsellino. Prossima udienza venerdì 1 giugno, in videoconferenza l’audizione del pentito Gaspare Mutolo, in aula il generale Subranni.
Fonte:Antimafiaduemila