Veramente il governo Monti sta fallendo i suoi obiettivi?

di Piotr (Пётр)

RIDE-MONTI

 

Paul Krugman pochi giorni fa su “La Repubblica” ha scritto che l’Europa deve disfarsi dell’euro e tornare alle monete nazionali per puntare ad un tentativo di ripresa neo-keynesiana.

Anche questo autorevole economista, così come molti suoi colleghi italiani antiliberisti, pensa in qualche misura che sia possibile un ritorno al “ventennio d’oro” del dopoguerra.

Ho esposto in varie riprese perché ritengo quest’idea un’illusione, dato il particolarissimo concorso di fattori politici, geopolitici e di disponibilità di risorse che portò a quel poderoso sviluppo materiale e alle forme politiche e sociali che assunse. Basti pensare che esso seguì un’imponente distruzione di capitali dovuta alla guerra dei “trent’anni” (1914-1945) seguita ad un’altrettanto imponente capacità da parte degli Stati Uniti, vincitori, di egemonizzare, dominare e coordinare i processi di accumulazione mondiali. Senza contare la forza dei movimenti comunisti ed operai seguita alla sconfitta del fascismo, la presenza dell’Unione Sovietica e i successi dei movimenti di liberazione nazionale.

Che la finanziarizzazione, il neoliberismo e la cosiddetta “globalizzazione” siano state risposte alla fine di quella fase propulsiva keynesiana in Occidente è un’ipotesi che non viene mai presa in considerazione dagli economisti, critici e non, se si eccettuano pochissime e inascoltate eccezioni (una per tutte: Giovanni Arrighi). Si riesumano così le vecchie ricette sperando che funzionino ancora.

Krugman afferma con passione che i dirigenti europei sono dei folli a continuare sulla strada dell’austerità. È un po’ quanto pensa anche la maggioranza della sinistra di opposizione italiana che è convinta che Monti stia andando verso una sconfitta rispetto ai propri obiettivi perché l’austerità è destinata ad avvitare su se stesso il problema del debito, dato che essa sta portando dritta verso una lunga recessione se non ad una depressione.

Che questo sia una sconfitta rispetto agli obiettivi dichiarati è palese. Ma non sono così tanto sicuro che sia una sconfitta rispetto ai piani reali dell’attuale governo e di alcuni potentissimi settori capitalistici. È chiaro che sono al lavoro varie tendenze e direttive contrastanti che riflettono strategie e preoccupazioni economico-finanziarie, politiche e geopolitiche differenti. Ma in sé le crisi, e specialmente le lunghe crisi strutturali, sono sempre state momenti di grandiose riorganizzazioni del potere capitalistico. Già Marx aveva capito benissimo che durante le crisi la centralizzazione del capitale marcia a ritmi che non le sarebbero consentiti dal processo normale di accumulazione.

Proviamo allora a mettere tra parentesi per un momento la supposta fobia tedesca per l’inflazione o gli amorosi sensi dei dirigenti europei per il monetarismo, per il neo-liberismo e i per i banchieri e proviamo a immaginarci un altro scenario.

Se l’accumulazione capitalistica è, come penso che sia, una forma di lotta per il potere, la tripla recessione (depressione) – finanziarizzazione – centralizzazione potrebbe non essere una strategia così sbagliata per il capitalismo europeo, conscio che con i BRICS c’è poco da entrare in competizione sul piano industriale, se non per i prodotti ad alto valore aggiunto e probabilmente per l’agribusiness (settore strategico), e che un rilancio keynesiano è con tutta probabilità un’utopia. Che poi quella strategia comporti una sorta di medioevo sociale è l’ultima delle preoccupazioni dei decisori, che la ascriveranno alla rubrica “mantenimento dell’ordine”.

Il prossimo grande scontro intercapitalistico potrebbe verosimilmente svolgersi per il controllo geopolitico dei mercati finanziari. Se ciò è vero siamo alla vigilia di un periodo molto buio (la spremitura selvaggia della natura e della società, così come la conquista guerriera di posizioni geostrategiche sono in quest’ottica dei “collaterali di garanzia” per le strategie di alleanza con i grandi centri finanziari).

Se è così riesco a dare un senso ad un’affermazione un po’ criptica (e per altro imprecisa) dell’ultimo Latouche:

“Quello che ci attende, se non cambieremo rotta, è ancora peggiore: un razionamento drastico del denaro, che provocherà conflitti planetari sempre più violenti; una situazione del genere farà da brodo di coltura per movimenti fascisti e xenofobi, di cui già vediamo le avvisaglie e che in un futuro prevedibile si incaricheranno della gestione della penuria con sistemi autoritari.” (Serge Latouche, “Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita”. Bollati Boringhieri, 2012, pag. 27)

Se si sostituisce “razionamento drastico del denaro” con “lotta per il controllo dei mercati finanziari” probabilmente guadagniamo in precisione.

Sostituiamo poi “movimenti fascisti e xenofobi” con “reazione di amplissimi strati sociali che saranno progressivamente depauperati” (reazione che ovviamente può essere facilmente intercettata da quel tipo di movimenti in assenza di un progetto progressivo ed emancipativo; è storico) e allora possiamo arrivare alla conclusione che l’autoritarismo richiesto per controllare la situazione non sarà appannaggio di quei movimenti, ma di una “autocrazia tecnico-politica” di cui stiamo vedendo i primi passi.

Fonte:megachip