Strage di via D'Amelio: ''la verita' da sotto il moggio viene alla luce

di Giorgio Bongiovanni – 29 ottobre 2011
1150 pagine. Sono il nuovo copione che riscrive le fasi esecutive della strage di via D’Amelio. Un copione fitto di dettagli frutto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che hanno determinato la sospensione per la pena a 7 condannati e la richiesta di arresto per altri 7 presunti stragisti.

Per la verità, a parte la dinamica del furto e della preparazione dell’autobomba che ha falciato la vita del giudice Borsellino e dei suoi angeli protettori, non emergono da questo nuovo spaccato della storia grandissime sorprese. Piuttosto conferme di quanto già delineato nel terzo troncone del processo, denominato per l’appunto “Borsellino ter”, che già indicava chiaramente la partecipazione della famiglia mafiosa di Brancaccio. Le rivelazioni di  Fabio Tranchina, che inchioderebbero Graviano come colui che ha personalmente premuto il pulsante e scatenato l’inferno sulla terra, confermano che la strage di via D’Amelio aveva un’importanza tale da richiedere la presenza sul luogo dei maggiori capi mandamento addirittura coinvolti nell’esecuzione.  E non erano soli. Rimangono infatti più che aperte le ipotesi sulla partecipazione di personaggi estranei a Cosa Nostra prima, durate e dopo l’eccidio e, visto che su tutto il resto sono stati impiegati fiumi d’inchiostro, mi fermerò solo su questi aspetti. Innanzitutto proprio Spatuzza che racconta della presenza silenziosa di un uomo “non di Cosa Nostra” nel garage in cui stava imbottendo la 126 di esplosivo e che ipotizza essere, più che a ragione, “un uomo dei servizi segreti”. Poi c’è il mistero dell’agenda rossa che sparisce pochi istanti dopo la deflagrazione e l’unico indizio certo è che la valigetta che la conteneva si allontana dalla macchina fumante del giudice nelle mani del capitano Arcangioli, quindi un uomo dello Stato, Foto della strage di via D'Amelioper poi svanire nel nulla. Fortunatamente su questo aspetto la procura di Caltanissetta sta ancora indagando. Poi c’è l’enorme manovra di depistaggio che è al centro della richiesta di revisione del processo. E’ ancora avvolta nel mistero quella soffiata che indica agli inquirenti il “falso cammino” da intraprendere per arrivare a Scarantino e Candura che, comunque, tra le tante fandonie hanno inserito anche elementi poi risultati veri. E poi la domanda delle domande: per conto di chi il questore Arnaldo La Barbera (nome in codice Rutilius, in servizio al Sisde) avrebbe inscenato la falsa pista? E per coprire chi? Ci appare abbastanza chiaro, come abbiamo scritto più volte, che Cosa Nostra ha agito all’interno di un concerto di complicità ad essa esterne perché in quel preciso momento storico c’era in corso una “trattativa”, un negoziato, di cui Borsellino sapeva e per il quale rappresentava “l’ ostacolo”.  Infatti era il potenziale destabilizzatore del vecchio sistema che voleva mantenersi in sella, il pericoloso intralcio per l’ascesa del nuovo potere politico-economico e l’eterno acerrimo nemico della potenza militare di Cosa Nostra che in lui vedeva la minaccia per il rinnovo dell’antico patto e quindi della sua definitiva sconfitta. E mentre per la magistratura al nord era prevista la macchina del fango, a sud si eliminavano i giudici a suon di bombe. Con l’omicidio Borsellino i sistemi criminali gettano le basi per il loro progetto di un’Italia basata sulla violenza e sulla sopraffazione, la cosiddetta “seconda repubblica”. In conclusione, solo una parentesi. Leggo su “la Stampa” la replica dell’ex ministro Nicola Mancino ad un articolo di Riccardo Arena. L’onorevole Mancino scrive testualmente: “Del resto davanti ai pm di Caltanissetta Riina accusa Brusca di essere un bugiardo ed esclude anche di avergli mai parlato di Mancino, e neppure di avere scritto o sotto scritto il papello”. Con queste dichiarazioni l’On Mancino ci fa un bel regalo: scopre la sua reale faccia. Dà più credibilità a Salvatore Riina, ergastolano, pluriomicida, mai pentito, che nemmeno riconosce l’esistenza di Cosa Nostra e denuncia per calunnia Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, al quale è stato riconosciuto il grado di attendibilità stabilito dall’articolo 8 e confermato dalla Suprema Corte per processi importanti come Capaci, le stragi del ’93 e così via… Questo si chiama gettare la maschera ed equivale ad auto-smentirsi ed auto-accusarsi! Grazie, onorevole, finalmente un po’ di verità! Le stragi del ’92 e del ’93 nascondono ancora molti misteri…. ma prima o poi verranno alla luce.

I pm alla ricerca della verità sulla strage di via D’Amelio
Sette nomi nuovi iscritti sul registro degli indagati
di AMDuemila – 29 ottobre 2011

Pur avendo momentaneamente respinto la richiesta di revisione del processo per la strage di via D’Amelio, presentata da parte della Procura generale di Caltanissetta, nei giorni scorsi i giudici della Corte di Appello di Catania hanno comunque accolto la richiesta di sospensione della pena per sei boss, precedentemente condannati in via definitiva (Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Salvatore Profeta, Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso e Vincenzo Scarantino). Una decisione che apre ad un nuovo processo sugli esecutori materiali della strage che il 19 luglio 1992 ha ucciso il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della propria scorta.
Da tempo sono state avviate delle indagini a riguardo e, secondo quanto riportato oggi dal quotidiano La Repubblica, vi sarebbero altri sette nomi iscritti al registro degli indagati dalla Procura di Caltanissetta. Alcuni di questi sono in carcere, come Vittorio Tutino, che aiutò Spatuzza, autoaccusatosi, a rubare la 126 successivamente imbottita di esplosivo.
I pm devono trovare riscontri proprio alle accuse fatte dai due collaboratori di giustizia Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina anche perché per celebrare un nuovo dibattimento per la revisione del processo, occorre un’altra sentenza definitiva che accerti responsabilità di altre persone e che quindi contrasti con il primo verdetto.
Le basi dell’inchiesta sono state da tempo gettate. In primo luogo il telecomando che attivò l’ordigno che uccise il magistrato Paolo Borsellino, in via D’Amelio a Palermo, non fu azionato dal Monte Pellegrino, dove vi erano degli uffici del Cerisdi, ma da dietro un muro del giardino di via D’Amelio da Giuseppe Graviano. E soprattutto c’era un talpa nel palazzo della mamma del giudice, a piano terra, che controllava gli spostamenti di Borsellino che, secondo i pm, avrebbe il volto di Salvatore Vitale, uomo d’onore del clan Roccella già condannato a dieci anni al Borsellino bis e all’ergastolo per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Se l’ipotesi di un coinvolgimento di servizi segreti deviati che dal Cerisdi, su Monte Pellegrino, avrebbero attivato il telecomando viene scartata, secondo gli inquirenti “soggetti esterni a Cosa Nostra potrebbero incidere sui tempi e le modalità di attuazione di una strage già programmata da parte dell’organizzazione mafiosa”.