Da Scarantino a Spatuzza, processo da rifare per la strage di via D'Amelio

di Lorenzo Baldo – 16 settembre 2011
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E’ di mille pagine la memoria relativa alla nuova indagine sulla strage di via D’Amelio depositata ieri dal procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, alla procura generale nissena diretta da Roberto Scarpinato.

Si tratta del primo passo verso la revisione del processo per l’assassinio del giudice Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Valter Cosina, Vincenzo Fabio Li Muli e Claudio Traina.
Una volta esaminate le carte Scarpinato potrà avviare l’istanza di revisione alla Corte di Appello di Catania. L’istanza riguarda sette mafiosi condannati all’ergastolo sulla base delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino, la cui collaborazione con la giustizia è stata completamente messa in discussione dalle dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. L’ex mafioso di Brancaccio si è autoaccusato del furto della 126 utilizzata come autobomba ed ha fornito prove e riscontri alle sue deposizioni. La sua ricostruzione ha scagionato di fatto uomini d’onore del calibro di Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Gaetano Murana, Natale Gambino e Gaetano Scotto. L’iter giudiziario che porterà inevitabilmente alla revisione del processo per la strage di via D’Amelio prende il via tre anni fa. Il 14 ottobre 2008 la notizia della collaborazione di Gaspare Spatuzza diviene pubblica. Quel giorno si scopre che “’u tignusu” collabora già da quattro mesi con gli inquirenti e che ha fornito sulla strage di Borsellino una versione completamente diversa da quella del picciotto della Guadagna, Vincenzo Scarantino. Spatuzza dichiara di essere stato lui a rubare la 126 utilizzata come autobomba per la strage e che a commissionargli il furto sono stati i fratelli Graviano. Questa nuova versione cozza immediatamente con quella di Scarantino che aveva sempre sostenuto di avere incaricato del furto dell’auto, su input del cognato Salvatore Profeta, due balordi a cui vendeva la droga: Luciano Valenti e Salvatore Candura. Spatuzza racconta invece che nel mese di aprile del ’92 i suoi capi lo incaricano di trovare “notevoli quantità di esplosivo reperito da ordigni costituenti residuati bellici dell’ultima guerra mondiale”. Ad aiutarlo nella ricerca si aggiungono altri esponenti del mandamento di Brancaccio: Peppe Barranca, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Fifetto Cannella e Renzino Tinnirello. Spatuzza avrebbe poi custodito l’esplosivo all’interno di alcuni fabbricati di cui aveva la disponibilità. ‘U tignusu rivela ai magistrati che poco prima della strage di Capaci era riuscito a consegnare a Cristoforo Cannella un quantitativo di circa centocinquanta chilogrammi di esplosivo. Per quanto riguarda il furto della 126 spiega poi di averla rubata insieme a Vittorio Tutino, su incarico di Cristoforo Cannella, il quale a sua volta gli riportava gli ordini del capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano. Spatuzza racconta inoltre che per occultare l’autovettura riesce a trovare un magazzino in via Brancaccio all’interno del quale effettua la distruzione dei documenti dell’utilitaria e di ogni oggetto presente al suo interno per evitare che l’auto potesse essere identificata. Successivamente va a riprendere la 126 e la sposta in un altro garage, in corso dei Mille. Per rendere la vettura più efficiente egli stesso provvede a sostituire le ganasce dei freni. Il 18 luglio 1992 insieme a Cristoforo Cannella e Nino Mangano, Spatuzza sposta nuovamente la 126 per nasconderla in un box situato nella zona della Fiera del Mediterraneo, vicino a via D’Amelio. Ad attenderlo sul posto c’è Renzino Tinnirello ed è lui che, su indicazione di Spatuzza, pulirà a fondo l’interno della macchina per rimuovere eventuali impronte. All’interno del box c’è il latitante Francesco Tagliavia. Ma è un’altra presenza quella che attira l’attenzione di Gaspare Spatuzza. Si tratta di un uomo di circa cinquant’anni che non ha mai visto prima e che presenzia alle operazioni di carico dell’esplosivo. Spatuzza lo osserva per qualche istante e poi riprende la sua attività. Nel tardo pomeriggio del 18 luglio “’u tignusu” insieme a Tutino ruba le targhe di un’altra Fiat 126 – custodita all’interno dell’autofficina di Giuseppe Orofino, ubicata in via Messina Marine – e le consegna personalmente a Giuseppe Graviano che era rimasto ad attenderli nel maneggio dei fratelli Vitale. Fin qui la ricostruzione di Spatuzza i cui riscontri hanno convinto i magistrati della sua buona fede. Ma ci sono anche le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia di ultima generazione: Fabio Tranchina. Vicinissimo ai fratelli Graviano ha gestito la latitanza di Giuseppe Graviano tra il 1991 e il 1994.  Ed è proprio Tranchina a portare ulteriori riscontri nella nuova ricostruzione della strage di via D’Amelio. Nei mesi scorsi i pm di Caltanissetta hanno messo a confronto Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino. Il primo ha ammesso di aver mentito in passato sul furto dell’auto ed è stato indagato per autocalunnia, Scarantino invece è finito per essere indagato per calunnia. Ed è proprio sul versante delle menzogne recitate ad arte da Scarantino e dai suoi compari che la procura nissena ha aperto un filone parallelo relativo al depistaggio delle prime indagini sulla strage che vede indagati tre funzionari di polizia per calunnia aggravata. Si tratta dell’attuale questore di Bergamo, Vincenzo Ricciardi, del dirigente della Criminalpol a Milano, Salvatore La Barbera e del dirigente della squadra mobile di Trieste Mario Bo. Stiamo parlando di tre ex componenti del pool Falcone e Borsellino diretto dall’ex questore Arnaldo La Barbera (scomparso nel 2002 )che solo un anno fa si è saputo essere al soldo dei Servizi con il nome in codice di “Rutilius”. I magistrati intendono chiarire il ruolo dei tre funzionari di polizia e dello stesso La Barbera in merito al depistaggio seguito all’“indottrinamento” di Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta (l’ex compagno di cella di Scarantino) che con le loro dichiarazioni hanno sviato le indagini da quelle “entità” al di fuori di Cosa Nostra corresponsabili della strage di via D’Amelio di cui oggi si cominciano a delineare i lineamenti.